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In costruzioneCOPPE DI VAPHIO’: UNA MERAVIGLIA
DELL’OREFICERIA MICENEA
L’oreficeria cretese, pur
estendendosi la sua produzione fino al
IX-VIII sec., rimane ancora un campo di difficile valutazione, se si escludono
i ritrovamenti ,nel continente, di oggetti d’oro, a sbalzo o ageminati, come a
Micene o a Vaphio’. Infatti si determina la diversità di origine degli oggetti
stessi , a Micene, in base alla varietà delle forme, da considerare in parte
diretta produzione dell’oreficeria cretese in continente, in parte espressioni
di laboratori micenei in cui vi sono molteplici influssi: egizi ed orientali,
influssi cretesi ed influssi della metallotecnica continentale. L’oreficeria
micenea non fu però in grado di amalgamarli in un unico insieme compatto ed
omogeneo, ma ci seppe comunque dare ad esempio delle figurette di grande
vivacità, nei loro accentuati movimenti, un paesaggio denso di naturalismo ed
un forte senso pittorico.
Una tholos di Vaphio’ in Laconia,
tomba di un re miceneo di Sparta del XV sec., ci ha donato, meglio delle tombe
micenee, le famose tazze d’oro, che rappresentano le creazioni più alte dello
stile naturalistico e sono opera certamente di artisti minoici del 1600 circa
a.C:.
La forma delle tazze è già nota
dalla ceramica di Kamares, dagli inventari sulle tavolette fittili di Cnosso, e
simili tazze portano gli ambasciatori cretesi ai governatori egiziani, dipinti
nelle tombe tebane del XVI-XVII sec. A.C. Le tazze sono costituite da due
calotte, di cui l’esterna è a sbalzo e l’interna liscia ribattuta sull’orlo.
Sono alte 9,8 cm l’una e 10,4
l’altra. La decorazione in rilievo occupa tutto il corpo del vaso. Un paesaggio
incolto ed arido di una terra brulla striata dal bulino, con bassi olivastri
selvatici a cui i cacciatori hanno legato la rete, o con palme rade e
contornate, ambienta, nella prima tazza, la cattura dei tori selvaggi.
La rete, a forma di mezzaluna, come abbiamo detto prima, è attaccata
con gli estremi ai due alberi; un toro, che vi si è impigliato ed è caduto sul
dorso, tenta di rialzarsi. Un altro toro ha superato la rete e fugge. Un terzo,
dopo aver abbattuto uno dei cacciatori, ne tiene un altro sollevato fra le
corna. Il moto del toro che ha superato la rete e fugge è sottolineato dal
piegarsi delle palme.
L’altra tazza è caratterizzata da
un paesaggio più rigoglioso, con la terra arata e con olivi dalle chiome
lussureggianti. Il suo tema è la sottomissione dei tori domati dalla volontà
dell’uomo.
Infatti l’uomo qui raffigurato
conduce un toro con una corda legata alla zampa, mentre un secondo toro pascola
tranquillo, e un toro e una giovenca creano un idillico gruppo centrale.
L’artista arriva fino a rappresentare i nugoli di polvere sollevati dai tori
che corrono, limitando in alto la scena con le rocce frastagliate.
Le scene di queste coppe sono
pervase di un sottile e fine senso psicologico e da una piena aderenza alla
vita. La struttura dei tori è rappresentata con immediata vivezza, ad esempio
nell’ossuto sporgere dell’anca e delle costole, nel contorno massiccio delle
coscie, nell’elastico aggetto dei tendini, nella nodosità dei ginocchi,
nell’adiposa segmentazione della pelle spessa del collo, nella complessa
architettura della testa, dove è espresso a bulino perfino il pelame sulla
fronte.
La figura umana, seppur in
secondo piano, è di un tipo caratteristico: di alta statura, con lunghi capelli
che ricadono sulla schiena, cinta alla vita da una fascia abituale nelle
figurazioni cretesi, calza sandali e cinghie. Tuttavia i cacciatori, nelle loro
bellissime figurine, sono una pura espressione dinamica di agile elasticità
nell’arditezza ritmica della posa sgambettante o lanciata in aria o raccolta
nello sforzo di trattenere il toro.
In queste coppe auree uomini,
bestie ed alberi compongono due dei più bei paesaggi dell’arte pre-ellenica. È
da notare il contrasto tra le due scene: una di violenza e l’altra di idillico
campestre. Si crea una straordinaria atmosfera, di movimento da una parte, e
calma e pacatezza dall’altra.
Possiamo trovare, in maioliche,
in cretule e in pitture cretesi ben note, lo stesso senso bucolico e la stessa
penetrante osservazione della natura, ed in particolare la figura del toro
aveva avuto una larga diffusione nell’arte minoica, costituendo anche il soggetto
di comuni scene taurokatapsie. Esempi tangibili si possono riscontrare nelle
cretule di Huaghia Triada, di Zakro che ci offrono un ricco campionario di
motivi di stile naturalistico in cui il toro compare pascolante, accovacciato,
ferito, legato, impigliato nella rete, assalito dal leone, nel galoppo volante
con o senza gli acrobati, come nelle cretule di Sklovakampos, che denotano
sicuramente l’impronta di un anello aureo per la finezza e la qualità
dell’intaglio. Con questi esempi di cretule si può definire l’ambiente
artistico in cui furono create le figurazioni delle coppe di Vaphiò. Esse sono
considerate tra i migliori prodotti della torentica di tutti i tempi sia per la
preziosità del materiale, per la tecnica raffinata che per la decorazione figurata.
Bibliografia:
Enciclopedia dell’arte antica
G.Becatti “Oreficerie antiche”
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